YOUTH GIOVINEZZA di Paolo Sorrentino
26 giugno 2015 | Commenta
Parlate di me …parlate pure male di me, purchè parliate di me…
Lo slogan che unifica politica e spettacolo, una sola idea di successo. Conversando amichevolmente del film, dell’autore, diamo un contributo al suo successo, con l’illusione di parteciparne.
Vorrei fare classificazioni, un’abbuffata tassonomica, distinguere, abolire, unire e dividere in sottogruppi, da perdere la testa. Poi lasciare l’opera alla funzione di puro pretesto, esercizio del capolavoro prossimo venturo quello che tutto spiegherà e trasferisce la genialità dalla vita dell’artista alla nostra. Le opere dovrebbero andare lontane dal loro creatore, comprate e rivendute, tradire ed essere tradite dall’autore. Temo che Sorrentino non vorrebbe mai separarsi da questa e da altre, anzi che abusi degli esiti di pubblico e di consenso precedenti come garanzia di questo lavoro. Non vorrà mai perdere la proprietà del film, nessuno può rubargliela perché è un assemblaggio legittimo di proprietà incustodite. Una garanzia, non corre alcun pericolo, per amor di patria, rinnova i fasti narrativi del made in Italy.
Ci sono film televisivi e film non televisivi. Questo è un film televisivo, non come un serial per la TV, ma in quanto interamente pensato per spettatori governati dalla libidine visiva-captativa, un target (una parte di tutti noi? ) che non vede più, guarda e crede di essere visto, guarda e fantastica di possedere, succhia con lo sguardo. Tenta due cose che si rinforzano reciprocamente, il potere degli occhi di invidiare, di negare ciò che si è visto e la voracità della bocca che mette dentro per possedere la fonte del nutrimento, introiettare il soggetto con cui ci si immedesima. Lo scopo della partecipazione al successo giustifica ogni cosa.
Il film televisivo è politico, deve consolare per la nostra minorazione, chi potrà mai immergersi nella vasca calidaria con miss Universo? La politica ha gli slogan della pubblicità e la stessa pretesa che il consumo dell’oggetto sia la soddisfazione del desiderio.
Gli “Antagonisti” hanno graffiato sul fresco bianco muro condominiale la scritta…ciò che l’occhio vede la mano afferri…, esattamente la cancellazione della possibilità della soddisfazione del desir, l’impotenza dell’eccitazione, tra guardare e rubare non c’è più di mezzo il mare! D’altronde cosa dice uno dei protagonisti: a che serve leggere? basta copiare. Ha ragione, un pressappochista talentuoso può vivere alla grande.
La sensazione di essere cooptato non solo tra i fans, ma in un partito, in un gruppo di sostenitori, si insinua appena seduti in platea, una sorta di condivisione di un non-detto, implicito, a monte, a noi oscuro. Si procede per citazioni che depistano il campo delle letture, si susseguono visioni che fanno di noi sceneggiatori, membri del pensatoio che ha scritto e orchestrato il lungometraggio, tutti distesi a terra con le teste in contatto. Oh i giovani quanti ormoni e quante idee! Dice Harvey Keitel …Come sono belli!
Restano occulte le fonti di ispirazione, si inganna l’intuito dell’intenzione conscia e inconscia nella relazione, subito rivelati gli autori che fanno sorgere le domande, gli attori continuamente formulano teorie desunte dalla loro esperienza, i risultati della riflessione degli altri sono solo boutades, si possono usare senza ritegno. Tutto sanno dell’amore per averlo spiato, per averlo sospettato nell’amico, perché la donna dell’altro è sempre più bella. Come se non si potesse sostenere senza l’ammirazione e la rabbia dissimulata, il proprio desiderio. Certo un po’ d’invidia è inevitabile, ma non può essere l’unica pulsione al rapporto. Superare i settantanni per scoprire che l’amore di una adolescente ti può salvare la vita. Purtroppo bisogna rassegnarsi la ricerca sull’umano può avvenire solo lontano dagli spot e dai tappeti rossi.
Le massime dei dialoghi e tutte le scenografie vengono scelte con ‘gusto’, intercettano ‘topoi’ che sembrano riflessione filosofica e storica attuale. Avanzando un'altra classificazione questo è un film teorico con ausilio di diapositive, impegnato con sospetto nel campo della conoscenza della psiche, visioni che dovrebbero veicolare idee, immagini che dimostrino di essere pensiero senza parole. Tuttavia la bellezza del corpo di Magdalena Ghinea non basta a fare del senso della scena una bella idea e nuova, anzi è captatio benevolentiae, leccare, indorare. Il destino umano è così infelice e noi non siamo mai consapevoli dell’attimo irreversibile in cui decidiamo il fallimento della nostra esistenza.
In dialetto siciliano … u signuruzzu duna u pani a ccò nunni ava denti… , allora il titolo non era Youth, ma Vecchiaia. La questione mi pare sia che il nostro godimento, questo sur plus di piacere, venga guastato dall’intenzione sotterranea e dalla perfidia didattica. Potremmo perdonare l’Autore, se usasse il dialogo per dirci cose non liceali, per verbalizzare un pensiero suo sul latente umano, sulle premesse dell’amore, sulla fine dei rapporti normalmente sadomasochistici.
E’ stato durissimo calare la soggettività di Caine e Keitel e della Fonda dentro i gusci di queste figure, di questi personaggi inverosimili, tale è l’aspetto perturbante, un po’ thriller della pellicola. Questi personaggi non vivranno mai di vita eterna e propria, moriranno con Caine e Keitel. La saggezza degli attori non diventa del personaggio. Una grande sensibilità, geniale, in un uomo che non fa che una carezza alla figlia e l’altro incalza …i genitori sanno quando i figli non dormono…, perché loro hanno deciso di essere amici che si dicono solo cose belle. Infatti appena Brenda gli testimonia la brutta verità si suicida, il genio inadatto a vivere, un’idea originale.
L’autore si diverte e modula il suo umore coi movimenti comandati ai corpi degli attori, coreografie amniotiche, immobilità fisiche e psichiche, incapaci di suggerire movimenti interiori (escluso lo sguardo magico e sensuale di Rachel allo scalatore), posture velleitarie che vorrebbero avere un senso altro, tutti siamo in attesa del meraviglioso, della levitazione (l’erezione nel vecchio?), ma non è riuscita la visione documentata della capacità di esprimere il movimento immobile. Sembra che gli interessino solo effetti impressionanti, strani, lo stupefacente, interruzioni autorizzate in stato di veglia, epochè della coscienza, l’emozione anestetica. (Ma dell’emozione e della memoria parliamo un’altra volta.)
Agli intellettuali manca il’gusto’, si dicono i protagonisti, il Nostro è pieno di gusto, assorbe tutto. Un grande arredatore di interni, uno squisito trovatore di ambienti, (l’albergo di Shining nella stagione estiva?), da ammirare per come mostra che gli uomini non vogliono sapere di se e lui per primo cela le tappe, la storia dell’incubazione dell’opera, abilissimo nello scegliere spazi al posto di trame, li svuota e li riempie nell’onesto compito di ristabilire il primato del suo cinema sulla vita, la nostra.
Per gran parte della visione ho creduto la moglie del musicista morta e fino all’ultimo ho pensato che si approfittasse della specialità delle isole veneziane, la morte del corpo e la fine della mente: cimiteri e manicomi. Pensavo, toh, ora l’hanno messa vicina a Vera Strawinsky !!
Era importante sapere se la moglie di Frank fosse allo stato cachettico della schizofrenia simplex o nel disfacimento finale di un deficit cognitivo demenziale. Si tratta di un’altra prova che l’artista non può che far impazzire le donne che lo amano? La conclusione è aperta, lo spettatore decida così collabora al copione ed è cooptato tra gli autori, anche noi siamo premiati dal buio della sala.
Aspetto con ansia le prossime opere di Sorrentino.
Goffredo Carbonelli