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TURNER (2014) di Mike Leigh

24 febbraio 2016 | Commenta

Ho visto questo film, che racconta gli ultimi anni della vita del pittore romantico inglese William Turner, animato da curiosità certo, ma anche privo di alcuna aspettativa particolare, pensando che magari mi sarei stancato e avrei lasciato perdere dopo un po’ e invece sono stato catturato dallo scorrere delle immagini e, soprattutto, dalla suprema interpretazione di Timothy Spall, che non a caso ha vinto la Palma d’oro a Cannes come miglior attore protagonista.
Il film descrive appunto l’ultima parte della vita di un pittore inglese  appartenente al movimento romantico, che non conoscevo e di cui non avevo mai visto alcuna opera. Siamo a Londra, in Inghilterra verso la metà del 1800 e Turner è già abbastanza “anziano”, ha un aspetto piuttosto “sgradevole”, è grasso, trascurato nel modo di vestire e dà la sensazione di essere non troppo pulito (cosa del resto abbastanza comune al tempo in Inghilterra). Inoltre è estremamente burbero, molto spesso imbronciato, spesso poco loquace e caustico quando conversa. Non so se il pittore fosse realmente così, ma l’interprete riesce a rappresentarlo in questo modo in maniera decisamente convincente e direi anche “potente”.
Turner, spesso, invece di parlare, emette una specie di grugnito, sia per approvare, che per disapprovare ciò che vede, ciò che ascolta, oppure un quadro o un’immagine, o ancora le azioni di altri esseri umani, uomini o donne che siano. In questo suo modo di esprimersi mi ha ricordato il popolo livornese (o almeno una gran parte di esso…) che utilizza una sola espressione (de!), in qualsiasi circostanza per esprimere approvazione, disapprovazione, stupore, accordo e disaccordo, etc.
Il pittore vive in modo agiato ed è venerato e assistito in modo costante dal padre (barbiere in pensione), che non solo si occupa di tutte le sue necessità, ma provvede a procurargli le materie prime per i quadri a olio e per gli acquerelli che dipinge (tele, colori, etc.) e a gestire la vendita dei suoi dipinti, intrattenendo relazioni con i potenziali compratori, nobili e ricchi borghesi. Il padre è fiero del figlio e completamente dedicato a lui e alla sua attività. Trasuda ammirazione per lui, che considera lo strumento del suo riscatto economico e sociale, promuove le sue opere, intrattenendo rapporti cordiali e gentili con tutti i possibili clienti. È molto diverso dal figlio, parla molto e cerca in tutti modi di evitargli qualsiasi problema connesso con la sua professione, il suo carattere poco socievole, i modi bruschi che utilizza con i colleghi della Royal Academy of Arts, la sua vita “sentimentale”.
A questo proposito, quello che mi ha colpito in questo film è l’estrema anaffettività del protagonista, sottolineata anche dalla reazione priva di emozioni mostrata alla morte del padre, che sicuramente lo addolora e lo colpisce anche perché lo costringe a ripensare alla madre, abbandonata in un manicomio si suppone molti anni prima e ivi defunta. Turner è tormentato, rinchiuso nel suo guscio e non riesce a comunicare se non attraverso la sua arte (tanto che riesce a piangere, grugnendo, solo in un casino, facendo lo schizzo di una puttana, sorpresa che lui non voglia scoparla). Inoltre, si percepisce chiaramente l’assenza della donna. Non che i personaggi femminili siano assenti, ma appaiono poco caratterizzati, privi appunto di “femminilità”, come se il regista volesse comunicare agli spettatori la marginalità della donna per il pittore. Tra di esse c’è una ex-moglie che si presenta più volte al cospetto del pittore per chiedere soldi, insieme alle figlie e per rimproverarlo per la sua assenza, come marito e come padre, e, in genere, per il suo comportamento riprovevole. Poi c’è la sua “valletta”, che obbedisce ciecamente a ogni ordine del pittore, che lo accudisce come e più di una serva e che lascia anche che lui sfoghi in modo piuttosto “brutale” i suoi appetiti sessuali con lei. Starà con lui fino alla fine e lo andrà a cercare anche quando Turner, ormai vecchio e sul punto di morire, si ritirerà in una località sul mare, anche in questo caso accudito da una vedova, con la quale ha una frequentazione intermittente, fatta prevalentemente di conversazioni e di rapporti sessuali di nuovo privi di desiderio.
La donna, a cui inizialmente si presenta sotto mentite spoglie, probabilmente lo ammira come pittore dal momento in cui Turner le svela la sua vera identità e le mostra le sue opere, finisce poi per sposarlo (seppure in segreto), ma non mostra mai desiderio, affetto, amore, ne’ eccitazione nei suoi confronti.
In Turner il desiderio sembra compresso, se non del tutto assente… la sua eccitazione è improvvisa e deve trovare sfogo in modo urgente, mai in posizioni comode e consone (tipo in un letto…), ma sempre in luoghi casuali, in maniera rocambolesca, in piedi e totalmente vestiti. Questi brevi momenti di sesso sono sempre accompagnati dai soliti grugniti. Insomma la donna per Turner sembra essere semplicemente un oggetto utile a sfogare l’eccitazione, una figura legata a un’attività masturbatoria senza amore, ne’ coinvolgimento, che una volta terminata non lascia spazio a forme di “amore dopo l’amore”…
D’altro canto, in alcune scene del film si percepisce anche la voglia di uscire da questo guscio di insensibilità con cui il pittore sembra “proteggersi”, come quando si intrattiene con la figlia di un facoltoso cliente che suona il pianoforte, conversando quasi con dolcezza, o in alcuni dialoghi con la vedova che poi sposerà, nei quali abbandona i grugniti e appare coinvolto dai racconti della donna; ma tutto ciò ha sempre una durata limitata e si interrompe bruscamente, come se le falle nel guscio che lasciano filtrare le emozioni di Turner avessero il potere di richiudersi automaticamente in breve tempo.
Non conoscevo l’opera di Turner, né tantomeno il romanticismo inglese, ma le immagini dei suoi quadri mi hanno colpito molto… le sue opere sono prevalentemente “marine” e sono caratterizzate da un’esplosione di luce che le rende belle ed emozionanti anche per chi, come me, non ama particolarmente questo tipo di dipinti. Questi ultimi appaiono inoltre, almeno a un profano come me, molto vicini a quelli degli impressionisti, di cui ho poi scoperto, Turner è considerato uno dei precursori.
Il modo di dipingere che si percepisce guardando il film, risulta del tutto inusuale, caratterizzato da una creatività esplosiva, che si manifesta anche in modi bizzarri, come quando su un quadro esposto alla Royal Academy raffigurante velieri, sembra in uscita da un porto, aggiunge una “pennellata” grezza di rosso apparentemente senza senso, che suscita reazioni di scherno e di riprovazione da parte dei colleghi, che poi si ricrederanno e mostreranno stupore e ammirazione quando, utilizzando soltanto le mani, Turner trasformerà una macchia informe in una boa dotata di movimento che conferisce “vita” al dipinto.
Turner ha un rapporto importante con la “luce”, tanto che documentandomi ho scoperto che veniva definito il “pittore della luce”; cerca di intercettare l’alba prima dell’alba e il tramonto prima del tramonto per dipingere i suoi paesaggi in modo da renderli unici, quasi come fossero foto. Ed effettivamente il pittore è decisamente terrorizzato dai primi “dagherrotipi”, che a lui sembra rappresentino opere in concorrenza con quanto lui è in grado di cogliere e trasmettere nei suoi dipinti. Tanto che poco prima della fine del film, si reca da un fotografo, costringendo con la forza la vedova con cui convive a seguirlo, e si fa fotografare con lei. La foto è agghiacciante, la faccia di Turner è deformata in una sorta di ghigno, quella della vedova esprime solo paura e imbarazzo.
Morirà senza paura della morte, in parte emarginato dagli accademici e dileggiato in opere teatrali burlesche, perché ha iniziato a dipingere utilizzando al posto dei comuni materiali, cibi e bevande, dimostrando ancora una volta un’intuizione e una creatività fuori dal comune e difficilmente comprensibile da un universo conservatore, quale quello degli artisti inglesi dell’epoca.
Insomma, un film lungo e appassionante, che riesce a trasmettere emozioni e a far riflettere sul rapporto tra creatività, affettività, desiderio ed eccitazione.


Andrea Peruzzi