Articoli Commenti

The Hateful Eight di Quentin Tarantino

20 febbraio 2016 | Commenta

Quando Tarantino dice che il suo maestro è Sergio Leone o Umberto Lenzi, che il B movie italiano è il suo modello non riesco a credergli, a lui che fa tanto per la fede degli uomini. Tarantino è convinto di aver cambiato il modo di fare cinema, e in un certo senso ha ragione. Ha cambiato il mondo. Senza di lui non ci sarebbe uno strumento digitale che porta la fede in ciò che guardi a livelli eccezionali. Quanti essere umani diversamente alti (nani) sarebbero diventati hostess e entertainer nei locali glamour della Costa dei Barbari, senza il valletto di Uma e John in Pulp Fiction? Non sarebbe possibile che Ilary Blasi Totti sculettasse con Le Iene e qualcuno presentarsi a casa tua spiritoso…my name is Wolf, I solve problems….
Aggiunge il nostro …Il mio problema non è il passato o il futuro, ma il presente.
Che cosa intende dire? Forse che dalla poltiglia di corpi umani, eredità dei cartoni giapponesi visti da piccolo, ottenuta dalla katana in Bill Kill ora ne Gli Otto Odiosi si passa alla più classica Colt o Smith & Wesson a canna lunga, solo come cambio di scenografia? La Storia non cambia e la natura umana è immodificabile.
Tarantino è moderno. Sono arrivato al botteghino e ho chiesto la durata di The Hateful Eight. 3 ore e 7 minuti, mi sono istintivamente ritratto, il sadico mi avrebbe sottoposto ai suoi giochi per così a lungo. Una pellicola che è un’esperienza corporale, in realtà è trascorsa velocemente.
Quentin è il bambino strano venuto ad abitare da poco vicino a noi che ha una straordinaria sala privata di giochi inquietantie insiste tanto per trattenerci. Sono rimasto, The Hateful Eight è una ineluttabile, inevitabile reazione al buonismo imperante, all’ingenuità banale che invita gli uomini e le donne a cessare l’odio automaticamente per razionalità, per amore e civiltà, l’invito alla bontà è un ordine e rende dissociati. I doveri sono ovvi, non si può ordinare i doveri, perciò La banalità del male.
Quentin è moderno, cioè nei suoi film si sa sempre di cosa si sta parlando, siamo sempre in medias res, dicevano gli antichi, si produce la mitomania, cioè Cormac McCarthy in fumetto, tutti sanno che la moglie di Tex Willer era una principessa Navajos. Annunciato un personaggio veniamo aggiornati quasi subito della sua reputazione di pistolero, di assassino, di eroe, di fortune e disgrazie familiari. C’è incombente un passato-presente, i personaggi esistono in quanto passato, come nel Mito, devono essere usati per dare un senso al qui ed ora.
Gira voce che Tarantino mostri una straordinaria sensibilità compassionevole e morale attraverso il negativo, con una riprovazione tanto più grande quanto è il sangue e le viscere che si vede spargere attorno. La vendetta di Django, quella di Uma in Kill Bill, non parlano di giustizia, ma di una complicità empatica con lo stragista. Siamo con lui per le infamie e per il martirio della carne operato dal padrone, dal potente. Ricordate la macerazione della carne in Passione di Mel Gibson? Nella narrazione della vicenda del povero cristo è fondamentale lo scannamento, la tortura, il penzolamento dalle travi. Pregio del regista è darci sempre documentazione che il terrorista è un ex terrorizzato.
Alla fine per solidarietà con la vittima c’è una totale assuefazione alla violenza, forse la vera violenza è che tutto questo è spettacolo. Molto difficile è trattare il Male come malattia e ogni malattia incurabile viene sospettata di essere punizione che viene dall’alto.

 

Goffredo Carbonelli