SANGUE DEL MIO SANGUE di Marco Bellocchio
22 settembre 2015 | Commenta
Se non comprendiamo la Storia, il passato non sparisce, semplicemente si dimentica di noi. I film di Bellocchio non hanno trama, non sono storie, sono Storia. Lo fu “Vincere”, lo è questo. Il legame di sangue raccontato in due secoli, per mettere a fuoco l’amore della madre e per la madre, che ne è il senso. Non è un istinto, è della nostra specie, ma non è un istinto, più forte di esso, un’esperienza d’amore per discriminare tra fede e fiducia. Nella fede non c’è fantasia. Qui si parla di fratelli. Del padre si sa che è assente, assenza necessaria se si vuole che la sua legge governi.
Per esempio una storia è la pellicola partenopea “Per amor vostro”, vale una coppa Volpi e tre punti nel campionato italiano di cinema.
Evita Peron era una regina argentina. Si era ritirata in Riviera, non ricordo bene, forse a Sanremo dove il Conte Basta viene consigliato dal vertice della Fondazione a continuare la sua assenza. Nico Orengo1, mi faceva pensare alla necessità italiana di regalità, quanti sovrani in pensione vivono l’eternità dentro le meringhe liberty delle ville liguri fino alla Costa Azzurra. Cardinale e principi, garanzia di ordine nella provincia, la causa della latitanza della grande borghesia, la causa della sua vigliaccheria qui mostrata nella sua genesi, la mancanza di coraggio nel vivere il desiderio. Una questione politica centrale distinguere il desiderio dall’eccitazione, Bellocchio ci dà una mano.
Mi sembra un privilegio dell’infanzia fantasticare che le sorti della nostra città, del nostro borgo, abbiano un governo segreto, una consorteria che decida il destino di ognuno, un po’ come dare sempre la colpa a Berlusconi.
La paranoia non è una malattia del singolo, è un’atmosfera collettiva, condivisa ideologicamente, un’infezione contratta per aver pronunciato parole vuote. Nel destino, la volontà della mamma coincide con la saggezza del padre che sublimando il suo desiderio ha costruito la consuetudine della legge. La mamma italiana, la perfetta idealizzatrice del padre assente.
Da oggi il prossimo film di Bellocchio sarà sempre il migliore, non perché il nuovo è sempre meglio del meglio, ma perché ci sono delle opere che pagano definitivamente dei debiti, trattano il passato per le sue verità presenti, mostrano cosa impedisce ad eventi, a certe storie del corpo, ad errori della mente, a desideri mai estinti di tramontare e sparire. Non tutti gli artisti giungono alla grazia di rendere il linguaggio verbale superfluo, a mostrare immagini autosufficienti che non si possono dire, ma solo vedere. Riconosci lo stile, la forma, la notte, la luna come nel Principe di Homberg, l’acqua del fiume che non diventerà mai mare. Vuoi entrare nel flusso, il sogno come la fantasia precede la parola, prescinde dal discorso articolato, dalla comunicazione documentale del significato. Come altro si potrebbe testimoniare la scissione corpo-mente se non nell’azione logica dell’Inquisitore, come si potrebbe descrivere il pericolo della nudità femminile. Gli operai non devono guardare, solo mettere e togliere mattoni, bendati lavorare a processi di cui non conoscono lo scopo. Esclusivamente il Signore, soltanto il Principe può intendere l’essenza del corpo femminile, solo chi vive il lusso può intendere l’essere la donna un lusso, un corpo che è memoria, trattiene ogni attimo degli sguardi che le si sono posati addosso.
Non sono convinto che i figli debbano essere a forza migliori dei padri, una loro evoluzione. Di quale rapporto padre-figlio sta parlando il regista? Il figlio tennista del dottor Cavanna? Il suo proprio figlio così esulcerato, ipersensibile, giustiziere per conto di Dio, della famiglia? Ma quanto siamo credenti pur essendo atei?
Ubbidire al destino di cardinale che la mamma ci prepara, o a un qualsiasi altro destino, arrendersi a qualcosa che era stato preparato prima che nascessimo per pensare che la morte è una liberazione dal corpo. Poi si ricomincia, un altro giro di giostra. La lotta col desiderio è perduta a causa del corpo.
Non è possibile vincere contro il fascino della libertà di Benedetta, e il desiderio di Benedetta la ventura più fortunata che può capitare nella vita ad un capitano d’arme.
Alla fine viene smurata, dove Aldo Moro non poteva essere liberato che per meriti politici, umanitari, qui la monaca vanta una forza mentale, una realizzazione corporale, la bellezza terrena contro la vita eterna, la sua identità sessuale, irrazionale. L’esistente contro l’inesistente. Questo terrorizza l’Ordine. Niente è come la certezza di essere desiderata perché libera, disinteressata al potere, invisibile e quindi un corpo indistruttibile. Non si può distruggere una realtà mentale.
Destinato a soccombere, a morire d’infarto chi odora le rose bianche. Poniamo che la ricostruzione storica de il 1° film sia una ricostruzione del desiderio aurorale, delle condizioni di ricongiungimento tra il desiderio e la sua fonte, l’oggetto di desiderio. La dottrina religiosa e quella psicoanalitica vogliono che il desiderio e il suo oggetto non si incontrino mai, come le convergenze parallele. Anzi non sono separabili perché non è conoscibile dove nasce il desiderio. Sul desiderio se ne ascoltano di tutti i colori,…desiderio di morte…analogo dell’invidia…intasamento di tubature.. si può rivolgere a se stessi… ad oggetti, a piante…alla bellezze di natura.
In realtà prima viene l’oggetto, cioè Benedetta, lei come l’acqua del fiume trasparente, (mai vista un’acqua di fiume così limpida), poi viene il desir. Il desiderio non è meccanica batteria, ordigno digitale, accumulo ormonale, ingorgo spermatico, non è eccitazione e discontrollo degli impulsi. Se non c’è l’oggetto di desiderio non esiste il desiderio. Certo volerlo controllare genera il dominio, è all’origine della brama di potere.
C’è il 2° film, contemporaneo, la Ferrari, la corruzione dei funzionari dello stato, la Tv, la nobiltà vampiresca, la confusione tra festa e liberazione, e dominante su tutto l’abuso della eccitazione per riscaldare il freddo della mente e del cuore. Allo stato attuale delle cose, secoli di collaborazione tra religione e ragione ci hanno fatto perdere il corpo. Dimostrare che la strega è irrazionale corrobora la fede. Murare il corpo della donna, escluderlo dallo visione per evitare allo sguardo della coscienza e della ragione lo smacco della realtà psichica.
Migliaia di vicende analoghe si sono concluse con il rogo, qui ora, no. Perché non bruciano la donna, visto che di falò erano state illuminate tutte le piazze d’Europa? Forse, perché oggi ci si riscalda solo per gli affari di famiglia.
Ciò che è già saputo è sparito, perciò ci interessa l’esistente, il nuovo.
Goffredo Carbonelli
1Nico Orengo, Le rose di Evita. Einaudi,1990. Come i canti alpini, la storia della patria. Ci sono uomini che vanno cercati perché conoscono i fatti, li hanno vissuti.