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LENNY KRAVITZ - Il film

                Un chitarrista elettrico è un puntatore di laser, disattiva le armi intelligenti. Un sassofonista è un filosofo di strada, dalla tromba cadono perle, rotolano dal palco nella piazza, saltando s’accomodano nell’ombelico delle ragazze che con le mani alzate si sono arrese a Lenny, l’uomo che è un film, non si riesce a estrarlo dal capolavoro di se stesso.
Il rock non patisce la mancanza di teoria, il suo rock non ha pensiero razionale, eppure è raffinata elaborazione, rende il bisogno del silenzio l’esperienza soggettiva e solitaria per eccellenza. Il suono ha bisogno del rumore. Il dominio sul rumore è musica, non finisce mai, presto ci saranno esclusivamente concerti dal vivo, si ascolteranno registrazioni solo di autori morti e se qualcuno volesse dischi e cd di un artista ancora vivo, lo uccide.           
Il rock si è riconciliato con la politica, con un esito non fallimentare della ribellione.
Kravitz come il pilota di Stanley Kubrick, cavalca la bomba, produce per scopi non bellici un rumore più forte del boato di Hiroshima. La chitarra elettrica sfida il sibilo di pallottole sopra i marines acquattati come topi nell’acquitrino vietnamita, trasforma il caos acustico della guerra in un suono più potente, il rock sovrasta i suoni della violenza imperialista. La convulsione delle casse, il rumore più assordante che gli umani hanno prodotto. Al suo cessare i corpi sono estenuati e splendenti, non catafratti e mutilati. L’America è sempre in guerra e il rock non lo dimentica.
Lenny ha avuto relazione con famose attrici, tratta il pubblico come una donna e le donne prendono il posto delle dive, sul suo viso non c’è traccia di vita privata, a tutte viene in mente di occuparlo in mansioni utili, coniugali. Non fa comizi, è quasi afasico, non dice che alcune delle parole del salmo Black Panther o hippie…peace, love…qualche pugno chiuso levato al cielo. Ha un corpo amebico, incassa tutto l’eccitamento possibile, parrebbe non aver bisogno di nessuna chimica esogena per l’immenso premio del successo planetario al suo narcisismo che le ammiratrici si riprendono e moltiplicano. Una musica la cui energia deriva direttamente dai potenziali di neurotrasmissione ganglionare, la più profonda provenienza mesoteliale dei suoni si corticalizza e tutto sembra elettricità più viscere. Tolti gli occhiali si capisce che è cieco fin dalla nascita e usa la chitarra come impianto protesico con cui ci tocca e ci acquisisce ai suoi sensi. Non si tratta di musica pelvica, i genitali non sono interpellati, più attinente a riti tribali, a socialismi aborigeni, una dilatazione percettiva che ode con l’intero corpo, dimostra che questa musica come l’acqua entra da qualsiasi forellino e salda la sensibilità di tutti quelli che vengono penetrati dallo stesso suono. La musica non si ascolta con le orecchie, varca la frontiera della pelle, aggira i tatuaggi, e si perde nelle praterie dei nervi e del sangue, si fa molecole in circolo e poi sparisce come non fosse mai esistita.
Il successo del rock sopravanza quello della scienza e della tecnologia. Difficilmente lo scienziato può fare il divulgatore. Tromba, sassofono, batterie, chitarra organo, coro, portano l’esperienza umana dove non è mai stata, constatano subito e senza replica i loro risultati. Tuttavia non è conoscenza, l’effetto è eccitatorio, non ha memoria, può avere solo registrazione, solo ricordo, non ha parole che possano restituire le immagini. Bisogna seguire Lenny in tour, non mollarlo mai, per illudersi di non dimenticare, ma il corpo consuma, restiamo dipendenti, il rock è un placebo, lenisce ma non guarisce il dolore di una ribellione che non può cessare, non ha speranza di vincere definitivamente.
Il rock può venire a capo della violenza della guerra, consente agli States solo conflitti regionali, ma non ha molte chances con la droga, con la tossicomania.
Fumavo il fumo di ragazzi a torso nudo, avevo voglia di chiedergli di passarmi il sigarettino.
E se l’unica politica delle nazioni fosse la liberalizzazione di tutte le droghe? Assistenzialismo, paternalismo, jobs act, spending review, tutto finalizzato a sconvolgere la fonte, l’alimento della violenza della speculazione finanziaria, il denaro che produce denaro. Cosa ne sarebbe del cartello colombiano? Se il proibito fosse escluso dal commercio, se le famiglie potessero affrontare diversamente il pericolo della dipendenza dei figlioli? Organizzare tutta la politica sulla modificazione che riconosce e chiama per nome la paura di perdere i ragazzi indifesi fuori di casa.
E questi musicisti che storie hanno con la droga? Lenny come se la cava con la dipendenza? Ormai è ovvio che ne è venuto a capo. Ma tant’è lui è un grande artista!!
L’evento finale è palese sono qui a stupirci, essi stessi stupefacente. Il rock non è la causa del degrado mentale, né della dipendenza, certo è solo una soluzione palliativa.
La condizione del bambino è lo stupore del mondo, e lo stupore è la condizione che gli esseri umani non vogliono perdere.

 

Goffredo Carbonelli