Le Confessioni (2016) di Roberto Andò
4 maggio 2016 | commenta
Andò come Diogene Cinico, cerca l’uomo e l’ha trovato. Sono tre: il certosino loquace, il banchiere malato terminale, la scrittrice per bambini pentita. Diversi autori sentono una forte istanza alla filosofia, prendono il materiale antropologico nostrano, lo leggono, lo usano per proporre al pubblico la loro riflessione sulle cose del mondo e il senso dell’esserci. Certo, è sempre successo, ma oggi si denuncia una carenza del filosofo, si rimedia allo scarso pensatore. Andò ci aggiorna sul pensiero di Sant’Agostino circa la relazione tra coscienza e sentimento di colpa. Puntuale nel cogliere lo spirito del tempo, le mutazioni nella psicologia generale del genere italico e oltre, la fine dell’ammirazione popolare per il politico, il ritorno del primato della confessione sulla seduta psicoanalitica. La secolare educazione cattolica ci lascia un’esposizione al potere, ai suoi segreti, alle modalità di selezione degli uomini migliori. Il potere, una parola vuota che pronunciata come la carta moschicida attira l’attenzione e fa girare la testa. Pronunciarla sembra essere potere esso stesso, un’apologia esoterica. Il potere deve produrre mistero, il potente deve essere salvato e descritto nella sua intima costituzione psicopatologica. Sputtanato il politico, si sposta l’idealizzazione sul soggetto che custodisce i segreti, l’economista-matematico. La mafia sublimata perché le sue leggi sono passate in blocco nell’abilità del fare il denaro dal denaro.
Auteuil: il banchiere non tiene famiglia (è un antitaliano), per sedere alla tavola rotonda si è tenuto fuori dall'universale propaganda sul bambino. Un banchiere ha cuore adulto, ha un cuore arido, ha un cuore allenato all’illusione, non ha cuore. Ha conosciuto tutte le perversioni, tutti i piaceri, ha comprato un Cezanne personale, determina la vita dei popoli e instaura un confronto tra il suo silenzio e il silenzio del certosino.
Pierfrancesco Favino nuota nella piscina che non ha potuto godere in Youth. Una citazione è un gesto amichevole, due, tre, le musiche degli uccelli, i grandi alberghi, svelano il segreto le dinamiche inconsce tra gli autori. Nessuno si astiene dall’illustrarci la teoria sul futuro prossimo venturo e sulla molla che fa girare il mondo, l’impotenza, l’infelicità, consumi sconosciuti alle masse. Il fascino dei certosini in estinzione, il monaco Salus che placa la belva, ministre e giornaliste bellissime in un andirivieni da pochade nei corridoi delle bianche porte, il demente di Alzheimer che in realtà si sta vendicando dei figli avidi.
Ho creduto per qualche tempo che come dieci piccoli indiani a turno tutti si confessassero.
Qual è la decisione segreta deliberata dagli otto potenti per la rovina del mondo? Qual è l’Apocalissi prossima ventura, la distruzione per creare voluta dai ministri? Forse che i governi nazionali non hanno più alcun valore? Che non si può più avere fiducia in alcuno?
A chi riesce mettere in algoritmo la felicità, il lusso e il male di ridurre alla disperazione i popoli, sembra necessaria la palingenesi, il fuoco rigeneratore da cui nasce l’ordine mondiale, necessario è mantenere il terrore della rovina e della perdita irreversibile dell’umanità. Il certosino afferma che il male non c’è, il ministro mostra di essere al di là del bene e del male. Niente è più religioso dell’attesa del miracolo, del giudizio finale. Il terrore che i banchieri spargeranno ulteriormente nel mondo è il segreto, non la manovra in sé. Non è un segreto la constatazione del grado di onnipotenza raggiunto da chi governa, nessuna novità che al vertice si arriva per un massimo grado di cinismo, anaffettività, mistura di razionalità e credulità. Terrorifico che qualcosa che non funziona da duemila anni continui ad essere proposto come soluzione. Eppure al religioso Salus è affidata la salvezza e la prassi rivoluzionaria che fa saltare l’accordo diabolico.
La pellicola vuole annunciare un plus da aggiungere al disumano, la coincidenza tra assuefazione alla passività e uso dell’ingegneria della telecomunicazione, la bomba fine di mondo, direbbe il Dr. Stranamore di Stanley Kubrick, un Apofonia direbbe il teologo. Sembra che alla fine si accenni, ma non si dica apertamente di cosa si tratta, intanto tocca alla Grecia poi… Il segreto viene rivelato, anzi più di uno. Stringendo la mano della scrittrice il monaco confessa la ragione del suo ritiro, una grande ferita d’amore. L’unico che si confessa veramente è l’italiano, il suicida francese ribadisce che il suo segreto è più importante del segreto del sacramento della confessione, l’accordo si scioglie l’anima si allontana dalla sua salvezza. Favino apre il suo cuore come aveva già previsto di fare. Aveva invitato lui Salus.
C’è un disegno coerente in noi italiani, le Terme per la cura del corpo con l’eterna giovinezza in Youth, e le cure dello spirito affidate all’eternità della chiesa.
Servillo si smarrisce, inizia con una pulizia e una stringatezza magistrali, poi patisce il silenzio, e parla, parla anche con le mani. Si vede che anche lui sa che il verso degli uccelli non è la voce umana e lui aspetta una voce.
Il silenzio diventa isolamento, la scelta soggettiva di mutilarsi, non è una scelta e non è soggettiva, è un ordine e una negazione.
Servillo: il male non serve, un’affermazione straordinaria, il male non è eterno, è un processo morboso, concreto, storico, meramente umano. Allora qual è la decisione inconfessabile del G8, perfino all’improbabile eremita metropolitano?
Direi che due sono le rivelazioni: la democrazia deve curare e garantire la sanità di mente.
L’altra evidenza naturale: il suicidio del capitalista perfetto non genera il terrore nei popoli, la scoperta è che il mondo può fare a meno del male perché gli uomini si possono governare senza paura.
Il male non è necessario, né utile, il male è pazzia e questo l’uomo di Chiesa non può dirlo.
Tuttavia, credo che il regista non abbia i miei stessi intendimenti.
Goffredo Carbonelli