Irrational Man di Woody Allen
13 gennaio 2016 | Commenta
Il giudice deve essere una persona razionale, regolare, nel giro di poche giornate, seguendolo, spiandolo, si possono conoscere le sue abitudini. Vizi privati e pubbliche virtù.
Joaquin (Abe) è preceduto dalla sua fama, un irresistibile seduttore kierkagaardiano, da mettere alla prova. La violazione del setting è la sua specialità. Ne darà prova.
Si comincia con la Volvo, non esiste professore itinerante tra università del New England che non sia rappresentato da questa icona europea, efficace, razionale, affidabile. Il caso si materializza nei simboli al Luna Park, il numero è il simbolo, il numero è il 17, sfortunato per lui, ha vinto una bellissima fanciulla, ma sulla torcia scivola nel baratro dell’ascensore. Per lei il 17 è un numero fortunato, dimostra l’opposto delle teorie del professore, il caso non esiste, perché l’irrazionale non è caso e non è caos, una lampadina la salva. Giustizia è fatta, per caso?
Quello strudel di mele a cena da mamma e papà è lunghissimo, sembra una scena di una durata straordinaria, un’intera educazione alla sincerità, al colloquio con i genitori, perfino la passione per il cattivo portata al desco familiare si bonifica. Le intuizioni esposte alla coscienza senza nessuna riserva mentale, senza maschere, un discorso collettivo, una seduta di psicoterapia di gruppo. Resta difficile concepire e descrivere la menzogna inconscia, la negazione, che consente a un criminale di insegnare filosofia morale. Eppure Allen sta descrivendo “i cattivi maestri”. La geometrica bellezza di scendere per strada e uccidere uno sconosciuto.
Allen l’abbiamo seguito quasi sempre, da “Il dittatore dello stato libero di Bananas” in poi, più faticosamente negli ultimi tempi. Si è liberato con riluttanza dello psicoanalismo, non completamente, è approdato ai filosofi e alla loro “merda”. Tutta la pellicola è un atto d’accusa ai filosofi, al fallimento della riflessione teorica rispetto alla relazione uomo-donna. Non gli passa per la testa, al nostro regista-pensatore, ormai possiamo chiamarlo così, che non è il freudismo insufficiente o la fenomenologia esistenzialista astratta e staccata dalla vita, dal quotidiano, ma semplicemente l’uno e l’altro sono sbagliati, non hanno sviluppato la teoria giusta. Le idee sono fatti dello stesso peso dell’omicidio. Il nostro personaggio, non trova la virata, la sterzata, non incontra la scoperta di un pensiero nuovo, cerca nell’azione un evento irreversibile, l’omicidio lo è per eccellenza.
Allen è molto arrabbiato con gli psicanalisti e con i filosofi, si sente preso in giro, altrimenti non avremmo la scena della roulette russa, la ricerca di una credibilità attraverso la rappresentazione che tutta quella sapienza inefficace, procura una gravissima depressione. Gli hanno detto non solo i fenomenologi, ma anche i neuropsicoanalisti che l’identità dell’uomo è razionale, che l’irrazionale è caos e violenza. Come ci si può salvare da un altro libro sul nazismo di Martin Heidegger? Non è facile rifiutare l’identità data dalla ragione.
Tutte quelle ragazze con le ballerine, nessun tacco a spillo, quei capelli rossi come le foglie d’acero, lo splendore d’alabastro delle gambe non abbronzate e la disgrazia della mancanza di desiderio.
Dice Kierkegaard “...il suo volto come un frutto, la sua pelle la sento con gli occhi è diafana come velluto toccarla…” e in siciliano si dice “…u Signori duna u pani a cco nun avi i denti…”.
Le professoresse che stufe del loro ménage non hanno tempo da perdere e si offrono subito, non gli danno più adrenalina, in più si aggiunga l’alcol. Lei, la fanciulla, con quel lieve esoftalmo, sinceramente innamorata di un giovane onesto e diligente, vale la pena di una lezione eccezionale. Sembra che sia la decisione di superare la morale per arrivare all’etica l’ultimo antidepressivo, quello che lo eccita è la predazione dell’innocenza, la dimostrazione che tutta la correttezza politica, non difende la donna dal furto della bellezza.
Uomo irrazionale è chi sa che la giustizia deve essere terrena, sa che non esiste una giustizia divina. Ogni crimine contro l’umano va sottoposto a giudizio e dibattuta la causa in questa vita, in tempi più brevi di quelli italiani. Tuttavia senza notizia criminis non si procede, il diritto è formale, nulla poena sine lege*.
Si possono commettere delitti che non diventano reati. Molti delitti sono irrilevabili e raramente si ascoltano confessioni dai vicini di tavolo al ristorante o da spioni, come nei film di Hitchcock che ti cadono tra le braccia a bisbigliarti segreti in punto di morte.
La negazione dello Stato è la negazione di ogni possibilità che l’autorità (paterna?) sia capace di giustizia. Il nichilista dai decabristi russi ai terroristi nostrani è gravemente malato, è onnipotente, non ha capacità affettiva tale per dare identità ad una donna. Nella elaborazione filosofica da Kierkegaard a Schopenhauer passando per Kant e Heidegger, non c’è modo di correggere e curare tale disposizione della mente, l’esercizio dell’insegnamento dei pensatori viene detto astratto e scisso rispetto alla prassi. Il giudice non può essere irrazionale (forse è solo un uomo comune ) e la filosofia non cura la malattia mentale.
Allora, qualcuno che pretende la giustizia terrena è un uomo irrazionale?
Nella pellicola viene suggerito che l’irrazionale preveda l’arbitrio di ergersi a giudice e boia dei criminali. L’irrazionale è onnipotente secondo Woody e il pensatoio di filosofi-psicanalisti di Manhattan che usa il nostro regista come testimonial. L’irrazionale non è onnipotente, semplicemente perché è l’universale umano.
Allen comprende l’esigenza della giustizia in questa vita e della necessità politica della sua applicazione e questo mi sembra buono, malato è pensare che non ci possa essere una giustizia umana. L’esercizio della giustizia se è guidata dai filosofi neorealisti porta all’onnipotenza, se è esercizio della comunità dei normali che non dicono bugie per ordine kantiano, si sfalda e soccombe alla inefficacia dell’opinione generale.
Gli ultimi film di Allen sono grida d’aiuto agli spettatori per essere aiutato a dipanare vicende psicoanalitiche e filosofiche, come se chiedesse aiuto ai critici perché sono in debito con lui. Un film fortemente didattico, un intrattenimento superfluo, un atto di fede nella trama.
Un’opera nasce da una due, al massimo tre, immagini che passano nella testa più veloci della luce. Non sempre l’autore riesce ad acchiapparle, a renderle visibili agli occhi per noi e per lui. Del resto un quadro ha una trama, il film è lo svolgimento della trama che stava in quell’immagine. L’opera è aperta, sta allo spettatore scegliere quale sia quella epigenetica, l’immagine generatrice.
* Per queste ragioni ci vuole lo Stato ed è per questo che è delitto parlare contro lo Stato, pronunciare invettive contro l’istituzione delle istituzioni. Naturalmente questo discorso non vale per gli stati religiosi, le nazioni teocratiche. L’antipolitica deve fermarsi ai professionisti della agenzia politica, non estendersi all’idea di società governata secondo giustizia degli uomini. Lo stato non è il Leviatano di Hobbes, il lontano antenato della Balena Bianca, la paura dissolve lo stato. Materia della politica è impedire l’appropriazione dello stato da parte dei suoi servitori.
Goffredo Carbonelli