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Freaks (1932) di Tod Browning

8 settembre 2015 | Commenta

Il film nasce, agli inizi degli anni ‘30, come tentativo della MGM di risollevare le proprie sorti, dando a Tod Browning, dopo il successo del suo Dracula con la Universal, carta libera per la produzione di un nuovo, straordinario film horror. Ma Browning uscì troppo dagli schemi e la pellicola fu rinnegata e pesantemente tagliata (non esistono copie del finale originale del regista). La presenza di veri attori deformi, le mutilazioni subite dalla protagonista, fatta vedere come bellissima nella prima scena, l’inseguimento finale senza tregua, come la pioggia che cade, fanno del film certo non un prodotto della Hollywood che conosciamo ora. I deformi sono innocenti, i normali no. Quest’ultimi amano, ingannano, odiano, truffano e meditano di uccidere, di fare violenza (fisica, oltre che psichica) sull’inerme. E questo fa orrore. Orrore è violenza sull’inerme, prima di tutto. Hans è innocente. Lo dice anche il suo aspetto, da feto umano appena uscito dal sacco amniotico. Un’ipotesi del regista riguardo alla nascita malata del genere umano. Ma anche il potere fa ammalare, allontanando dall’innocenza; dopo le mutilazioni e la trasformazione in donna-gallina anche la bella trapezista sarà innocente, una di noi. Il finale originale prevedeva che Ercole, il complice-amante della trapezista, non fosse ucciso dai freaks, ma evirato e costretto a cantare in falsetto nel circo come freak uomo-femmina.
Il film, con quei camici bianchi ostentati dei freaks, indubbiamente ricorda, almeno a noi italiani, un manicomio itinerante. Nella cultura anglosassone non è successo ciò che è successo nella società italiana: la chiusura dei manicomi. La chiusura dei manicomi, sbandierata come soluzione tecnologicamente avanzata e come vetrina politica di democrazia verso il basso, ha contribuito a negare, e pesantemente, l’idea di ospedale psichiatrico, come luogo dove si cura la malattia della mente. I manicomi italiani non hanno rappresentato un luogo effettivo di cura della malattia mentale, ma questo non significa che il medico della mente non possa esistere.
Un Freak, in lingua Inglese, è un essere umano deforme. E la deformità fa orrore. La deformità fisica acquisita alla nascita non permette cambiamenti, mentre dalla deformazione mentale si può guarire. Se è vero che ogni lesione fisica comporta un problema psichico, i freaks sono spesso disturbati. Noi ridiamo alla scena in cui i due uomini che hanno sposato delle sorelle siamesi dicono con gentilezza l’un l’altro “spero che un giorno veniate a trovarci a casa nostra”. E’ innocenza o malattia? I freaks sono, purtroppo, mezz’uomini e non saranno mai uomini. Questo fa orrore. Mezz’uomini la cui innocenza, l’assoluta non curanza del potere non porta beneficio, non li fa essere migliori, loro restano lì, in una riserva indiana piena di pazzi da riabilitare. Interessante allora la dinamica del potere. I freaks non sembrerebbero interessati, ma la bella trapezista e il suo Ercole si. E sono disposti a calpestare tutto degli innocenti freaks pur di ottenerlo. I freaks però si ribellano e diventano quello che evidentemente si suggerisce sia sempre stato lo stato primordiale umano, la violenza, la disumanità. Gli umani nascono disumani? Altra immagine che genera orrore.
Un mostro è un fenomeno e il cinema è fatto per mediare il potere di sistematizzare i fenomeni, organizzare i generi. Ma il cinema sta perdendo il genere. La TV sostituisce il cinema e dice che la realtà è l’unica verità possibile. E questo spande il panico, perché è una deresponsabilizzazione rispetto allo stimolo umano: non posso riferire un evento umano senza essere coinvolto, “colpevole”. Così come l’orrore ha perso la paura, il cinema ha perso il genere horror. L’orrore nel cinema si era sempre nutrito della stessa natura della paura. La paura, come reazione normale ad un fatto straordinario, è una emozione necessaria: serve a segnalare la presenza del diverso. Il panico, come reazione straordinaria ad un fatto normale, denuncia un difetto di conoscenza, un non sapere da dove proviene lo stimolo che ha prodotto la nostra percezione e la reazione. E l’America, passata la guerra fredda e l’incubo della atomica cavalcata come Furia, si è affrettata a dire che la sindrome da attacchi di panico era da curare con i farmaci. Come dire che è inutile indagare, certe reazioni umane sono umane e in quanto tali non sono conoscibili, sono difetti organici da correggere con la tecnologia (farmaceutica, per lo più). Mostruoso è allora dichiarare impossibile la conoscenza delle cause della violenza umana (fisica e psichica).

 

Lorenzo Mucchi, Goffredo Carbonelli

 

Come mai siamo andati a scegliere questo film? E’ singolare scrivere di un film degli anni ’30 per una rubrica che recensisce film attualmente nei cinema. Perché lo facciamo? Per la vicenda di esclusione toccata al regista dopo l’uscita del film? Crediamo si tratti di un’opera dove orrore e paura si separano nettamente, un film horror senza un solo attimo di paura. La condizione dei protagonisti scoraggia l’identificazione e separa in modo quasi perfetto la sensazione di orrore da quella che spesso s’accompagna alla paura. Vediamo ciò che fa orrore, forse veniamo aiutati ad intendere cosa fa paura, come il regista riuscirà a spaventarci. La paura funziona al cinema perché è la stessa che proviamo nella vita quando qualcuno ne sa più di noi e ci tiene all’oscuro delle cause del fenomeno. Abbiamo detto* che l’espressione dell’orrore cambia, la paura come sensazione invece no, o almeno molto più lentamente.
*I concetti qui espressi sono, in parte, ricavati dalle lezioni “Il potere della vittima – il genere horror nell’epoca della psi(co)smesi” tenute all’Università degli Studi di Firenze a cura del Prof. Lorenzo Mucchi e del Dott. Goffredo Carbonelli (https://sites.google.com/site/ilpoteredellavittima/). Sarà presto comunicata la data dell’evento finale associato alle lezioni. L’evento ha lo scopo di sintetizzare i concetti emersi durante le lezioni e creare, possibilmente, un dialogo.