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E.T. L’EXTRATERRESTRE di Steven Spielberg

21 dicembre 2015 | Commenta

                Il padre dei bambini non c’è, quando la piccina al desco familiare prova ad evocarlo e farsi scendere una lacrimuccia, viene stoppata con grande prontezza all’unanimità. Il bambino americano, giovane cuore dell’impero nell’aridità della tecnologia finalizzata alle applications, sceglieva la vita anche se extragalattica alle macchine che simulano l’intelligenza. Allora con qualche resistenza potevamo dirci americani.
E.T. è vivente intelligente, sembra naturale alleato nella lotta contro l’adulto. I bambini inventano macchine prodigiose, oggetti per esigenze di là da venire, i loro manufatti non sono usufruibili dai grandi che pure ne avrebbero grandissimo bisogno. Un trionfo empatico, la pellicola fa della natura vegetale, di quella canina, di quella umana, di quella extragalattica una comunità curabile con l’empatia.
L’adulto è il cattivo? L’adulto è il nemico?
L’adulto non è il cattivo, solo che non c’è. Se presente lo è per i compiti di ruolo. Come uomo pare che sia con un’altra donna, ma di questo la moglie deve far finta di niente, una madre non può cessare di idealizzare il padre. Per i fanciulli è un’enormità. Comunque nel momento di un avvenimento eccezionale, il contatto ravvicinato di terzo tipo, il padre passa la mano, va via con un’altra donna, forse più giovane e più bella, cioè con una donna in tutto eguale tranne che per non avere fatto insieme il bambino. Terribile che l’assenza del padre venga suggerita come una ricusa dell’aver voluto la nascita. E. T. è brutto come il bambino si pensa quando l’adulto è incazzato con lui, ma è quanto resta di candore, immaginazione, speranza. All’adolescente è stato sottratto il tempo per verificare la sua scoperta che si può essere amici con l’adulto se si salva il bambino del padre malridotto e mostruoso perso nel greto del fiume.
L’amico non è il diverso, un extraterrestre è un amico, è uno di noi. Il diverso non è orrido e non proviene dalle stelle. Non lo possiamo annettere al catalogo della letteratura sul diverso. Il diverso non nasconde una psicologia domestica come la nostra, il diverso mantiene il suo carattere nell’incontro e oltre l’incontro, pena la sparizione del desiderio.
Cosa delimita i confini anagrafici di una generazione? Avere compiuto il compleanno nello stesso millesimo? Potrebbe essere che abbiano la stessa età quelli che sono stati influenzati, formati dalla visione delle stesse immagini, quelle belle inventate e quelle terribili dell’orrore quotidiano. Potrei avere l’età di coloro che hanno dato lo stesso senso a ciò che avevano guardato. Un adulto è un assemblaggio di storie interrotte e l’apparato di prevenzione dell’infezione venuta dallo spazio è magnifico, materia vivente, un intestino dell’agnellino bonificato, la pajata surgelata ed esportata negli States.
A tanti anni dell’uscita sugli schermi, il film mi sembra un manifesto di autonomia adolescenziale che tenta di ridimensionare le conseguenze sempre importanti dell’assenza paterna. Un precoce rifiuto del punto di vista adultomorfo sull’infanzia e l’adolescenza scritto e filmato da qualcuno che aveva mantenuto una potente memoria sensoriale della condizione infantile. Voglio esagerare una sorta di dichiarazione di guerra con i grandi, una battaglia vinta allo stato attuale dagli adolescenti al potere, che a testimonianza di essere divenuti adulti procreano, governano il Paese, sono convinti che cresceremo. L’adolescente si traveste benissimo da saggio, è ottimista, invita a mantenere vivo e a latere il senso ludico della vita.
Nella nostra specie, le altre specie non ne hanno bisogno, esiste la Grande Amnesia, una mancanza di ricordi coscienti precisissima. Non si tratta di assenza di memoria, memoria che è fantasia intelligente del senso. La Grande Amnesia è memoria.
A volte sembra che le generazioni non comunichino, che si siano rassegnate a faticosi contatti, non è detto che l’adulto sia lo sviluppo dell’adolescente, restano frammenti di soggettività, sviluppi di personalità dove non è transitata l’identità acquisita. E.T. è una rivendicazione di una teoria generale avanzata dall’adolescente, in autonomia dai genitori, un punto di vista che ricusa ogni ingerenza adulta, ogni proiezione delle nostre debolezze attuali sui ragazzi e sui bambini. Una narrazione favolosa che riecheggia un’epoca precedente, la più antica, dove l’essere umano non poteva comunicare verbalmente e non sapeva nemmeno l’esistenza della ragione, in quell’epoca non può che esserci fantasia e memoria, nessun ricordo cosciente del soggetto.
E.T. non è propriamente un film di fantascienza, si è vero, ha molti parametri di genere, ma tutti abbiamo sentito che era una novella sulla nostra adolescenza. A quell’epoca un film sullo stato di famiglia fatto dai ragazzi americani. Rambaldi plasma l’alieno a sua immagine, la madre che non lo rileva tra i peluches, l’armadio è il luogo più profondo e avventuroso della casa. Un modello di evoluzione della comunità filiale che stava attraversando l’Atlantico per giungere nella nostra famiglia, il manifesto di un’infanzia e adolescenza che non sarebbe potuta più essere come quella dei genitori. E.T. ha la fragranza dell’infanzia mai perduta, dolcezza per la necessità di illudersi e lasciarsi ingannare. La visione digitale è durissima, l’immagine virtuale vuole declinare il potere delle immagini di ingannare, essere certificazione che puoi cancellare la realtà, soprattutto quella psichica.
La science fiction deperisce man mano che aumenta la divulgazione scientifica. La fantascienza è diventata catastrofica, angosciante, non lascia dubbi sugli aspetti immanenti, presenti, ripugnanti, attuali e li amplifica come destino dell’umanità.  Con il volgere degli anni Isaac Asimov è divenuto meno romanziere fantastico e sempre più divulgatore scientifico. Da noi, Piero Angela e suo figlio hanno un pubblico attento e fedele che crede come lui che il cervello sia la mente, attendibile e onesto in tutto tranne che verso la psicomagia delle religioni. Sia la saga di Star Wars che E.T., sono debitori di “Cronache della Galassia” di Asimov. Bruno Bettelheim in modo tragico, Benjamin Spock e l’Analisi Transazionale, che erano il brodo primordiale del nuovo bambino occidentale, romanticamente volati sulla Luna con la mountain bike.

 

Goffredo Carbonelli